La scuola che “non funziona”

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Riflessioni di un insegnante sulla scuola che “non funziona”

Il nostro sistema scolastico sta vivendo in questo periodo storico un notevole impatto mediatico che racconta storie drammatiche di maltrattamenti e di “abbruttimenti” professionali.

Perché ricevono spazio mediatico solo gli eventi di questo tipo?

La scuola italiana ha anche tante storie di buona professionalità, ma queste ultime non risultano interessanti.

In pochi si fermano a pensare e si interrogano sul perché docenti qualificati e professionalmente validi ad un certo punto della loro carriera “esplodono”.

Delle loro storie l’unico aspetto che conta è il finale.

Ma dove sono i supporti?

Perché non sono intervenuti fattori d’aiuto per evitare quel finale?

Oppure, nel caso di docenti non adeguati a svolgere questa mansione, dove si colloca l’errore?

Forse per la nostra società è più facile l’accanimento sull’evento finale che non fermarsi a riflettere e tentare di cercare adeguate soluzioni.

Occuparsi delle fasce d’età evolutive prevede un’appropriata formazione e una predisposizione personale.

Questo aspetto spesso viene sottovalutato da chi decide di intraprendere questo cammino.

Molte persone pensano che occuparsi di infanzia sia “facile”, che questo tipo lavoro dia molte agevolazioni come un buono stipendio, un orario breve, un ruolo importante a livello sociale, cose vere solo in parte.

In pochi si soffermano a riflettere su altri fattori connessi quali per esempio che spesso l’orario di lavoro non termina con le ore convenzionali, che stare con gli alunni e le loro famiglie implica la gestione di relazioni non sempre semplici, che la gestione degli aspetti professionali, emotivi e relazionali all’interno di un team è in taluni casi complicato, che è necessaria e fondamentale una continua formazione.

A questo si aggiunge l’impatto attuale della figura del docente/educatore sul contesto sociale.

L’insegnante  è  socialmente considerato un lavoratore fortunato: fa poche ore, ha il posto fisso, fa un lavoro che gli piace,… 

Quello che purtroppo in questo momento storico ha poca rilevanza è il ruolo che queste figure rivestono sulla formazione delle future generazioni e quindi sulla ricaduta del loro operato nel contesto sociale attuale e futuro.

I primi che dovrebbero fermarsi a riflettere sono proprio gli insegnanti e tutti coloro che si occupano di educazione.

Se sono i docenti a non avere ben definito quale sia il loro ruolo a livello sociale e nella formazione delle fasce evolutive, a non accettare l’idea che questo tipo di professione, come le altre, per essere ben svolta, implichi da parte dell’insegnante la volontà di mettersi in gioco impegnando energie e tempo, non si può pretendere che il contesto in cui si opera creda in questa professione.

E’ facile cercare sempre responsabilità altrove, che peraltro esistono, ma è importante anche interrogarsi su cosa noi possiamo fare, nel nostro piccolo, per modificare la situazione.

Viviana Odetti

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