Ma quale relazione è ecologica?
Pensiamo all’equilibrio degli ecosistemi: anche le relazioni umane costituiscono un’ecologia che modella il nostro stare insieme. Nell’affascinante mondo della natura nulla esiste in isolamento. Ogni organismo, da quello infinitamente piccolo al più grande mammifero, è parte di una rete intricata di relazioni che sostiene la vita sulla Terra. Tutti gli esseri viventi si relazionano e rivelano connessioni dinamiche e complesse che regolano l’equilibrio, la sopravvivenza e l’evoluzione delle specie. Si tratta di legami e linguaggi invisibili che ci permettono di apprezzare la straordinaria interdipendenza tra gli esseri viventi e il loro ambiente. Spesso però, quando pensiamo all’ecologia, immaginiamo foreste rigogliose, o animali selvatici e ci dimentichiamo che anche noi esseri umani siamo parte dei sistemi naturali e con essi comunichiamo. Occorre esplorare queste connessioni e comprendere i segnali che gli altri esseri viventi ci inviano. Farlo ci aiuta a comprendere come le nostre azioni influenzino non solo la natura, ma anche il benessere collettivo, rivelando l’importanza di costruire società più armoniose e sostenibili dove la comunicazione oltrepassa la semplice relazione tra umani. Gli studi e le ricerche in campo biologico promettono grandi cambiamenti nella nostra relazione con gli altri esseri viventi. Per adesso però limitiamoci alla complessità delle relazioni tra di noi e a come pensare in modo sistemico. Pensare in modo sistemico implica ripensare alle nostre relazioni e considerarle da nuovi punti di vista. Ma quale relazione ecologica modella il nostro stare insieme? Le relazioni si manifestano in ogni aspetto della nostra vita quotidiana: dalla famiglia alle comunità locali alle reti globali, ogni interazione contribuisce a plasmare l’ambiente sociale, culturale, economico in cui viviamo.
Come affermava Bateson in “Verso un’ecologia della mente” (https://it.wikipedia.org/wiki/Verso_un%27ecologia_della_Mente) la mente può essere considerata come un processo ecologico simile a quello attivato da un individuo che stia abbattendo un albero con un’ascia, che deve correggere ogni colpo a seconda dell’intaccatura lasciata dal colpo precedente. Un po’ è così anche nelle relazioni. Quando mi trovo di fronte a un’altra persona, inizia una interazione tra me e chi mi sta davanti. Siamo io e l’altro, con i nostri sistemi complessi, con dinamiche che prevedono azioni reciproche, dove si instaura una dinamica relazionale che può diventare armoniosa o conflittuale. Spesso le nostre proposte comunicative inconsapevolmente o meno, limitano la comprensione, l’empatia e la collaborazione efficace tra le persone. In genere ciò accade quando cerchiamo di affermare e far valere un nostro giudizio, di modificare il comportamento di chi ci sta vicino, per indurlo a fare una scelta che noi riteniamo più opportuna e valida. Tentiamo di richiamare alla ragione e magari ci sostituiamo, diamo consigli non richiesti, interpretiamo quello che l’altro ci sta comunicando. Questi atteggiamenti che spesso adottiamo a fin di bene, non facilitano la relazione e la comunicazione.
Il processo di comunicazione diventa ecologico quando riusciamo a considerare l’ambiente e il contesto più ampio in cui si svolge la comunicazione. Riconoscere e riuscire a vedere che la persona che ci sta davanti è il prodotto di molteplici sistemi (la famiglia, la comunità in cui vive, la cultura in cui è cresciuta e vive, la scuola ) e tutti questi sistemi interagiscono in modo significativo, è di fondamentale importanza.
Vivere una relazione ecologica con le persone che incontriamo ogni giorno, significa tenere conto del contesto in cui le persone vivono, delle loro storie che non conosciamo mai completamente. Significa sospendere i giudizi, non arrivare mai a facili conclusioni.
La relazione ecologica è fatta di rispetto per l’altro, ma questa è una parola che troppo spesso sembra uscita fuori dal vocabolario corrente, anche perché associata alla dimensione verticale del rispetto dovuto a una autorità superiore, per essere relegata a una idea anacronistica e sicuramente un po’ fuori moda, svuotata della sua ricchezza. Invece andrebbe ripresa con il suo significato più autentico del “guardare di nuovo”, “considerare”, avere “ri-guardo” per qualcuno, aver cura e attenzione per l’altro. Vuol dire accorgersi dell’altro, ascoltarlo, conoscerlo, camminargli a fianco.
La consapevolezza di come comunichiamo con gli altri ci aiuta in famiglia, sul luogo di lavoro, a scuola nel rapporto tra insegnanti e alunni, tra insegnanti e famiglie, tra personale sanitario e pazienti, in ogni situazione di dialogo con gli altri. Ci aiuta a rendere la relazione una sorta di ecosistema che prospera nell’equilibrio della relazione, proprio come avviene in natura. Queste interazioni ci svelano una verità universale: la sopravvivenza (anche nostra) dipende dalla cooperazione, non dalla competizione conflittuale. Confrontiamoci con ciò che avviene in natura e con i meccanismi che regolano la vita degli esseri viventi. Cosa possiamo imparare? Interdipendenza: nessun individuo è autosufficiente. Le società prosperano quando riconoscono il valore delle differenze e riescono a integrarle senza entrare in conflitto. Adattabilità: la rigidità non ripaga. Gli ecosistemi si trasformano senza distruggersi, grazie alla flessibilità. Impariamo a non essere troppo rigidi sulle nostre posizioni. Rigenerazione: ogni crisi può diventare un’opportunità per ricostruire legami più profondi. Vale per gli individui e per le società. Una relazione ecologica ci aiuta a stare meglio con noi stessi e a far stare meglio chi ci incontra. Ricercare un equilibrio non significa restare nella staticità, ma muoversi in un dinamismo armonico. Coltivare relazioni ecologiche significa imparare ad ascoltare, a dare spazio e a comprendere che il benessere di ciascuno è inscindibile da quello collettivo.
“Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, cammina insieme” (proverbio africano) Ujamaa.it
Maria Grazia Cavallino